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Europa ed energia: un altro fallimento alle porte?
by Newropeans-Magazine
2008-02-02 09:39:37
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La condivisione delle risorse energetiche è una delle pietre angolari sulle quali l’edificio europeo fu eretto, nella consapevolezza che proprio la contesa di quelle risorse era stata tra le cause principali dei devastanti conflitti della prima metà del Novecento. Eppure, a 50 anni dalla entrata in vigore del Trattato di Roma, manca ancora una politica integrata dell’energia.

A preoccupare non è tanto il contrasto stridente con le origini dell’Unione, quanto il peso che questo vuoto di prospettiva può assumere per le sorti degli europei, in un momento in cui i rischi dei rapidi cambiamenti climatici sono avvertiti dall’intero pianeta e risorse tradizionali come gas e petrolio diventano sempre più costose, scarse e contese, oltre che dai clienti tradizionali (USA ed Europa in testa), dai nuovi, voraci giganti asiatici e sudamericani. Un vuoto che, nella migliore delle ipotesi, rischia di spingere rapidamente l’Europa ai margini della globalizzazione; nella peggiore, di vederla precipitare e soccombere in crisi e conflitti esterni molto più rovinosi di quelli che nello scorso secolo ne lacerarono il cuore.

Dovremmo, dunque, salutare con grande sollievo e soddisfazione l’adozione del nuovo pacchetto per l’energia annunciato dalla Commissione europea lo scorso 23 gennaio, contenente imponenti misure da adottare nel territorio dell’Unione entro il 2020?

Nel suo discorso di presentazione, il Presidente Barroso l’ha definito “il pacchetto più grande del mondo”. L’enfasi della definizione è la stessa con la quale nel 2000 fu presentata la strategia di Lisbona, che avrebbe dovuto trasformare in un decennio l’economia europea nell’“economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo”.

Sennonché, a poco meno di due anni dalla conclusione del tragitto, è ormai chiaro che l’obiettivo di Lisbona è sostanzialmente fallito e che, nel frattempo, il dinamismo economico e l’innovazione sono andati ad abitare a Bangalore e a Shanghai. E temiamo, purtroppo, che le ambizioni del pacchetto energetico presentato da Barroso produrranno un analogo fallimento, potenzialmente assai più disastroso.

Come sostiene The Economist , il pacchetto contiene troppi obiettivi, troppo eterogenei e manca di realismo, imponendo ad alcuni Stati membri, come la Gran Bretagna, sforzi insostenibili in relazione ai tempi previsti nel piano, o costringendone altri, come la Svezia, a cambiare completamente la propria strategia relativa all’approvvigionamento di fonti rinnovabili, senza tenere minimamente conto di quanto essi avevano fatto nel passato.

Più che nella scarsa attitudine della Commissione ad operare sulla base di una solida analisi della realtà, il cuore del problema sta, però, ancora una volta, nella necessità che le scelte decisive per la sorte di 500 milioni di cittadini europei e per gli equilibri mondiali futuri vengano adottate sulla base di decisioni democratiche, assunte da autentici rappresentanti del popolo europeo, democraticamente eletti dallo stesso.

Se la strategia energetica dell’Europa allargata del terzo millennio non può essere lasciata nelle mani di Stati e politici nazionali, assillati da proteste locali contro centrali e rigassificatori, o da interessi particolari di imprese a capitale pubblico, neppure si può pensare di affrontarla con scelte tecnocratiche, totalmente svincolate dal giudizio degli elettori, come se si trattasse della protezione delle galline ovaiole o della circolazione del Cassis de Dijon. Anche perché gli errori di prospettiva, in questo caso, possono costare molto cari.

Danilo Del Gaizo*
Roma - Italia

*Segretario generale per le Comunicazioni Interne de Newropeans, il primo movimiento politico trans-europeo a giugno 2009


  
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Comments(1)
Get it off your chest
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Emanuel Paparella2008-02-02 11:01:30
Lei ha perfetta ragione Signor Del Gaizo. Le scelte nel settore dell’energia come in altri nell’UE devono essere democratiche e scevre di motivi Machiavellici miranti più al potere che al bene comune. A mio parere, quel che ancora mancha in Europa è un’identità culturale che vada al di là della prosperità materiale. Forse l’intuizione di Christopher Dawson è corretta: quando le radici religiose e culturali di una civiltà marciano, tale civiltà eventualment si auto-distrugge.


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