Da ragazzino, amavo le frontiere: passare la dogana mostrando la mia bella carta d'identità, avere in tasca monete straniere (che collezionavo)... Oggi, che ho un passaporto e viaggio più spesso e più lontano, le amo ancora, ma non sempre: le amo quando rappresentano la porta verso l'altro, verso qualcosa e qualcuno che non conosco o conosco come diversi da me e dalla mia realtà; mi danno fastidio quando rappresentano una porta chiusa, il sospetto, l'esclusione.
Che poi l'esclusione possa rappresentare anche - da un altro punto di vista - sicurezza è fuor di dubbio. Ma è un discorso complesso, che passa anche per la cooperazione...

In “Politica e dintorni”, oggi su Radio Sound e su Newropeans Magazine, mi preme soprattutto parlare dei nove paesi che ci hanno appena raggiunti nell'area Schengen: è successo la settimana scorsa, come al solito tra facili entusiasmi, mille dubbi, scetticismi e, soprattutto, un grande silenzio.
Quello stesso silenzio che ammanta l'Europa e tutto quello che la riguarda ormai da anni, e non è come il silenzio di una biblioteca o di una chiesa, nella quale chiunque può andarsi a riposare le orecchie e la mente dopo aver subìto il frastuono della nostra vita di tutti i giorni; no, sull'Europa pesa un silenzio angosciante, il silenzio di chi non sa cosa dire, da una parte, e il silenzio di chi non sa cosa chiedere, dall'altra.
E Schengen? È un altro esempio di politica europea nata dal successo di un'iniziativa non europea.
Quando, nel lontano 1985 e nell'altrettanto lontana cittadina lussemburghese, furono firmati gli accordi di Schengen, al tavolo c'erano solo Belgio, Francia, Olanda e Germania, oltre naturalmente al Lussemburgo. Perché? Semplicemente perché si era rivelato impossibile arrivare a un accordo tra tutti i Paesi della Comunità Economica Europea.
Poi entrò l'Italia nel 1990; Portogallo, Spagna e Grecia nel 1992; l'Austria nel 1995; nel 1996 entrarono anche i primi Paesi non-membri dell'UE (Norvegia e Islanda), e nel 2005, per referendum, anche la Svizzera ha deciso di far parte dello spazio Schengen, pur non essendo un Paese membro dell'Unione europea. Nel frattempo restano fuori Regno Unito e Irlanda, ma entrano tutti i nuovi Paesi membri dell'Unione europea, che sono obbligati a entrare: quelli che l'hanno fatto la scorsa settimana sono quasi tutti quelli entrati nell'UE nel 2004 - manca Cipro, che ha ancora qualche problemino da regolare con la parte nord dell'isola... -.
Insomma, l'iniziativa è partita un po' come Erasmus, o come l'Eurogruppo: non si trova subito un accordo? Bene, entra chi vuole e chi può, il resto dell'Europa faccio quello che vuole (poi, di solito, il resto dell'Europa finisce per adeguarsi). Sarà poco democratico, poco solidale, ma sembra che funzioni, come metodo. Sarà per questo che la Lombardia, per bocca del Presidente della Regione, ha appena proposto di procedere allo stesso modo in Italia, per lanciare finalmente il sistema federale. E speriamo che non porti a un federalismo alla spagnola, con le frontiere politico-linguistiche che vengono erette proprio mentre nel resto dell'Europa tendono a saltare. Dicevo che mi piacciono le frontiere: ma probabilmente, se fossi nato in Ungheria o nella Repubblica ceca, o anche in Polonia o in un Paese baltico, le odierei. E quanto più le odierei ora, se vivessi in un Paese dei Balcani occidentali: loro, le frontiere sono costretti a mantenerle. Sono fuori da Schengen, fuori dall'Unione europea. Ma non certo dall'Europa.
Perché restano fuori? Perché il principio di Schengen è chiaro: libera circolazione all'interno, aumento dei controlli - e della cooperazione - sulle frontiere esterne. E quei Paesi sono ancora lontani dagli standard europei.
I critici dicono che Schengen non garantisce abbastanza sicurezza all'interno, e ancor meno la garantirà ampliando a dismisura lo spazio “aperto”: soprattutto per l'immigrazione, perché un extracomunitario che atterri in un hub europeo - per esempio Malpensa finché resta hub -, ma sia diretto a un altro Paese dell'area Schengen - per esempio la Spagna - viene controllato nel primo Paese, e cioè in questo caso in Italia, ma sapendo che è diretto altrove i controlli rischiano di essere meno incisivi. E poi un clandestino sbarcato in Italia potrebbe, in teoria, salire su un treno o un'auto e varcare senza problemi la frontiera francese, e andare dove vuole... In teoria: l'ultima volta che ho preso il treno per la Francia, dove vivo (con un permesso di soggiorno) ho trovato un cordone di polizia alla stazione di Milano, per controllare i passeggeri in partenza; e poi, appena passata la frontiera, le autorità francesi hanno proceduto a un altro controllo dei passaporti. Mi sono chiesto cosa sarebbe successo se, confidando sul fatto di essere cittadino comunitario e dell'area Schengen, non avessi portato con me i documenti. Sinceramente non lo so.
Però mi dico che se i controlli teoricamente soppressi vengono re-istituiti sempre più spesso, vuol dire che qualche problema nell'applicazione del Trattato di Schengen ancora c'è.
E allora ci sono due alternative: rinunciare, o sperare che al più presto funzioni a pieno regime, soprattutto nella parte che riguarda la collaborazione tra polizie. Scelgo la seconda, anche se poi ho qualche resistenza su altri aspetti delle politiche europee per la sicurezza.
Discorso lungo, ne parleremo un'altra volta: per ora, do il benvenuto alla Polonia, all'Estonia, alla Lettonia, alla Lituania, all'Ungheria, a Malta, alla Slovenia, e all'ex Cecoslovacchia: Repubblica ceca e Slovacchia tornano, in effetti, ad avere le frontiere in comune. Più o meno, insomma.
Buone feste, e arrivederci al prossimo anno!
NB: Se avete voglia (e avete la pazienza) di leggere il Trattato, ecco il testo